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Editoriale del Presidente AIES, Roberto Romano. Emergenza Territoriale: La sfida è la co-evoluzione, non lo scontro.

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Il recente articolo, comparso sulla rivista RescuePress, che non troppo velatamente si riferisce a quanto sta accadendo in Emilia Romagna, nello specifico nel modenese, riapre una finestra su questioni che in troppi, da tempo, hanno finto di ritenere sopite e che, invece, evidentemente, continuavano a covare sotto la cenere.


La questione non appare essere altro che una puntata della solita, stantia, “guerra” mai dichiarata, ma combattuta su più campi, tra medici e infermieri che operano nell’emergenza urgenza territoriale. Una guerra, a volte senza esclusione di colpi (da ricordare le procedure infermieristiche nel caso Pizza, di qualche anno fa, o il recente affare “Piemonte”, solo per citare alcuni episodi), che nessun professionista sensato vorrebbe, ma che taluni provano a far passare come volta alla tutela della cittadinanza. Appare invece sempre più evidente come ci si trovi di fronte ad una banale, e assolutamente non gloriosa, guerra tra corporazioni.


Una compagine infermieristica che spinge, comprensibilmente, per vedere riconosciute le proprie competenze, un’altra, quella medica, che resiste contrattaccando, altrettanto comprensibilmente, perdendo però l’occasione, forse irripetibile, di focalizzare energie sul pensiero dedicato alla propria necessaria evoluzione.


Si, perché se nel sistema di emergenza una parte fondamentale, come quella infermieristica, si eleva, gioco forza si deve elevare anche chi, parlo dell’altrettanto fondamentale figura medica, con quella parte interagisce.


Difficile, se non impossibile, pensare ad un sistema che veda lavorare, gli uni accanto agli altri, medici che operino e siano inquadrati con paradigmi degli anni ’90 ed infermieri 2.0, con competenze avanzate degne del nuovo millennio. L’evoluzione deve essere, necessariamente, una co-evoluzione.


Qui, sta il problema. C’è chi combatte per evolvere e c’è chi lo fa per mantenere uno status quo. Accade da entrambi i lati, e da ambo i lati non si può dire che i numeri e le sensibilità rappresentino la totalità dei professionisti.


Partiamo da un assunto: Stante l’attuale quadro normativo nazionale prescindere dalla presenza del medico è semplicemente impossibile. Aggiungo che non sarebbe neppure sensato, visti i modelli cui le regioni più avanzate stanno tendendo.


Giusto, però discutere su quale tipo di medico serva nel sistema, su quale formazione sia per esso necessaria e quali debbano essere le sue prerogative a livello operativo. Giusto farlo per il medico e - anche qui non guasterebbe un minimo di onestà intellettuale - anche per l’infermiere. Difficile sostenere che il sistema necessiti di medici con alta specializzazione senza discutere, seriamente, di quale debba essere il background accademico, formativo ed esperenziale degli infermieri che accedono ad uno dei setting dove l’autonomia infermieristica è, ed è necessario che sia, tra le maggiori possibili.


Come uscirne quindi? La partenza, e il focus primario, potrebbe trovarsi nel cercare di comprendere i bisogni della cittadinanza, sempre più anziana, con un aumento esponenziale delle malattie croniche e con una sempre maggiore difficoltà di gestione di tale cronicità.


Si potrebbe opinare che la cronicità non è, e non dovrebbe diventare, materia di interesse del sistema di emergenza territoriale. Questo è senz’altro vero, ma solo in parte. La cronicità non gestita (e nel nostro Paese non si riesce ancora a gestirla davvero, ma questo richiederebbe un altro articolo dedicato) sfocia molto spesso in situazioni di urgenza, se non di emergenza, che spaventano, non sono di facile gestione per i pazienti e i relativi nuclei familiari e richiedono una risposta rapida.


Qui sta uno dei motivi per cui taluni sostengono la necessità del medico su ogni ambulanza del sistema di emergenza.

Fattibile? Assolutamente no. Non abbiamo abbastanza medici, almeno disponibili e formati per questo setting, e i costi sarebbero proibitivi.

Necessario? Neppure. E’ acclarato che solamente una percentuale di casi che sta tra il 4% e il 6% del totale richiede di una gestione avanzata sul posto (FIASO, 2019).


Necessario sarebbe invece, e ancora non si è avuto il coraggio o la capacità di farlo, ridiscutere seriamente su quale sia la mission del sistema di emergenza territoriale, lavorando affinché questo torni ad essere uno degli attori nella risposta al bisogno della cittadinanza e non l’unico protagonista, insieme al pronto soccorso, capace di dare una risposta comunque competente e, soprattutto, erogata in tempi rapidi.


La risposta, inutile girarci intorno, non può essere che quella a livelli, dal base all’avanzato, perché è su vari livelli di complessità, e di relativa necessità di gestione, che si presenta la domanda da parte della popolazione.


Ma i livelli necessitano di “cellule” territoriali, composte da mezzi di varia tipologia e capacità assistenziale. Senza assetti di questo tipo, ben studiati e ancora meglio implementati, la mera sostituzione di un livello assistenziale con un altro può divenire poco efficace e, in alcuni casi, rischiosa.


Il DM 70/2015, da questo punto di vista bandiera dei sostenitori del “serve il medico ovunque”, crea la grossa problematica di definire lo standard di mezzi avanzati/popolazione con 1:60.000, non definendo però chiaramente cosa sia un mezzo avanzato e non definendo neppure la rete di mezzi necessari e “complementari” ad esso. Questo porta alla continua litania de “Il mezzo avanzato è quello con medico e infermiere” che spesso si sente recitare, alla quale diventa difficile dare un significato logico e, ancor di più, operativo.


Anche se si ottenesse di garantire una rete popolata da mezzi con equipaggi così composti, con le proporzioni numeriche per popolazione indicate, cosa si otterrebbe realmente? Tale mezzo, posto al di fuori di una rete composta da mezzi con capacità assistenziale inferiore, creata tenendo conto di orografia del territorio, distanza dagli ospedali e di tutta un’altra serie di variabili fondamentali, risulterebbe spesso inutile, quasi sempre impegnato e male utilizzato.


La risposta sta quindi, come detto, nella rete. Una rete di mezzi con diversa capacità assistenziale, ove quello con il medico, necessariamente altamente specializzato, e l’infermiere, sia la punta di diamante spendibile in situazioni ad alta complessità gestionale, ma dove si vedano mezzi infermieristici capaci di erogare una assistenza AVANZATA accanto ad un numero ancora maggiore di mezzi con soccorritore. Il tutto con il fine ultimo di garantire la corretta stabilizzazione del paziente e il corretto trasporto in ospedale, senza sprechi di risorse professionali, ove queste non siano necessarie.


Il problema quindi non sta nel definire, come qualcuno con vista apparentemente corta vorrebbe, il mezzo infermieristico come “mezzo base” - errore concettuale madornale, dato che lo si andrebbe ad assimilare a mezzi con capacità assistenziale BLSD - ma nel dare una nuova definizione al mezzo che vede a bordo l’intera equipe.


Impossibile, e privo di fondamento tecnico-scientifico, ritenere che il mezzo infermieristico non sia un mezzo capace di erogare assistenza avanzata stanti le procedure operative presenti, ed in uso dagli equipaggi a leadership infermieristica, in molte regioni del Paese. Chi lo afferma vuole, evidentemente, dando prova in maniera indiretta che di lotta corporativa si tratta, semplicemente blindare la presenza medica in quell’1:60000 previsto dal DM70, portandosi su un livello sindacale legittimo, a patto che non si agisca artificiosamente sfruttando i comprensibili timori della cittadinanza e le paure elettorali della politica, e allontanandosi anni luce da quello scientifico.

Forse i Paesi che fondano il loro livello assistenziale sul Paramedico non forniscono una risposta “avanzata”? Dove sono i dati di aumento della mortalità in quei sistemi?!


Altrettanto fuorviante, però, è sostenere con troppa leggerezza che l’assistenza erogabile da personale medico sia equivalente a quella infermieristica. Un semplice, pericoloso, sillogismo potrebbe portare, un giorno, qualcuno ad affermare che un soccorritore con possibilità di posizionare una via venosa e somministrare adrenalina potrebbe agevolmente sostituire un infermiere. Molto riduttivo.


Il problema non sta nella gestione delle patologie del first hour quintet, ovviamente gestibili perfettamente e nello stesso modo da tutti i sanitari del sistema di ET, secondo procedure codificate localmente sulla scorta di linee guida internazionali, senza necessità di inventiva o capacità diagnostica particolari, ma in tutte le situazioni che vedono la necessità di decisioni complesse, tali da incidere sui percorsi clinico assistenziali successivi, e in quelle dove risulta fondamentale il team working. In questi ambiti la presenza della figura medica risulta al momento imprescindibile. Questo bisogno esiste, però, come dimostrato da FIASO, in una minima parte dei casi.


Il focus, quello di tutti noi, deve tornare sul paziente. Le società scientifiche, in particolare, dovrebbero raccogliere ed elaborare dati, più che sposare modelli, fornendo attraverso quelle elaborazioni il supporto scientifico alle affermazioni.


Al momento l’indicatore primario, sul territorio nazionale, per valutare la qualità di un sistema di emergenza urgenza territoriale è, e resta, il solo tempo di allarme-target. Una variabile numerica di tipo temporale, che non tiene conto di nulla che abbia a che fare con la qualità del servizio erogato. Da qui è necessario (ri)partire, elaborando studi che pongano basi solide per una riforma globale del sistema di emergenza e che ci allontanino, tutti, il più possibile dal corporativismo, fattore che, più di ogni altra cosa, ha ingessato questo sistema impedendogli di evolvere in maniera armonica, dall’ormai lontanissimo Marzo del 1992.


Riteniamo non più procrastinabile la revisione degli indicatori di efficienza del sistema, come la messa in rete dei dati grezzi di attività dei sistemi di emergenza, con particolare attenzione a quelli riguardanti le diverse tipologie di risposta assistenziale, senza i quali è impensabile poter costruire studi solidi, credibili, obbiettivi ed affidabili.


Riteniamo anche non più ritardabile un superamento del DPR del Marzo 1992, ormai troppo datato e distante da quelle che sono le prerogative professionali degli attuali operatori, per poter essere ancora a fondamento del nostro sistema di emergenza territoriale.


L’Accademia Italiana Emergenza Sanitaria si adopererà, in ogni sede e con tutti gli attori, per supportare l’evoluzione del sistema in cui tutti noi operiamo e di cui, è bene non scordarlo, siamo tutti possibili utenti.


Roberto Romano

Presidente AIES



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