C’è uno specchio che non mente mai: quello dei numeri. EuReCa-THREE lo ha puntato sull’emergenza preospedaliera europea e italiana, e ciò che riflette merita attenzione.
- aies23servizio
- 11 lug
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Quando, a inizio luglio 2025, il Resuscitation ha messo a disposizione la versione in press di EuReCa-THREE, l’impressione è stata di trovarsi davanti a un vero “censimento” dell’arresto cardiaco extra-ospedaliero (OHCA) nel nostro continente. Lo studio, coordinato dall’European Resuscitation Council, ha raccolto prospetticamente, fra settembre e novembre 2022, i dati provenienti da 28 Paesi per una popolazione complessiva superiore ai 230 milioni di abitanti. Nel database sono confluiti 45.251 OHCA confermati, di cui 32.033 trattati dai servizi di emergenza territoriali (EMS) con rianimazione avanzata (ALS) o di base (BLS).
Il ritorno spontaneo della circolazione (ROSC) è stato registrato nel 31,2% dei casi, mentre la sopravvivenza alla dimissione, o a 30 giorni quando il dato ospedaliero mancava, si è fermata al 7,5%, con un divario enorme fra il minimo (3,1%) e il massimo (35%) nazionale.
La variabile che più di ogni altra stratifica il destino dei pazienti è il tempo di risposta, in media 12,2 minuti dalla risposta del “112” all’arrivo sul posto. Tuttavia, solo un quarto delle ambulanze raggiunge la scena entro 7 minuti. Superata la soglia dei 15 minuti, la probabilità di sopravvivenza si riduce di circa la metà.
Non sorprende che i Paesi con i tempi di risposta più contenuti (Danimarca, Paesi Bassi, Svezia) siano anche quelli che registrano i migliori outcome, grazie a una combinazione di logistica capillare, sistemi di dispacciamento informatizzati e una rete di first responder laici integrata con la localizzazione dei DAE.
Dalla lettura dei dataset grezzi l’Italia si colloca in fascia intermedia ed in particolare:
• il tempo mediano di risposta è fra 11 e 12 minuti, in linea con la media continentale ma lontano dagli standard che indicano tempi inferiori ai 10 minuti;
• la sopravvivenza stimata si assesta fra il 6 e il 7%, leggermente al di sotto la media dello studio;
• il tasso di by-stander CPR buono nelle regioni del Centro-Nord, meno al Sud e nelle aree interne (dato estratto da una sintesi della letteratura italiana degli ultimi anni).
Questi numeri non sorprendono chi conosce la struttura del nostro 118. l’Italia condivide il paradigma medico-centrico di Francia e Germania, ma senza la stessa uniformità di risorse e formazione. Solo una parte dei medici di automedica o nelle ambulanze medicalizzate possiede la specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza o in Anestesia e Rianimazione. In alcune aree vi operano laureati “non specializzati” o con specializzazioni non equipollenti all’emergenza urgenza, con prevedibili ricadute sulla capacità di trattare pazienti critici, gestire vie aeree difficili o valutare tempestivamente la trasportabilità per ECMO.
Gli infermieri dei mezzi senza medico lavorano con protocolli non omogenei fra regioni e, talora, fra province, circostanza che riduce il loro campo operativo. Al contrario, i Paesi paramedic-led puntano sulla rapidità e su graduazioni di competenze paramediche universitarie.
Sempre in Italia la forte presenza del volontariato garantisce copertura diffusa, ma i mezzi ALS con medico sono proporzionalmente meno rispetto a Paesi analoghi. Il contributo delle associazioni di volontariato (ANPAS, Misericordie, Croce Rossa) è storicamente imprescindibile, ma la formazione BLS-D non è sempre uniforme e l’assenza di competenze ALS limita l’efficacia dei primi minuti di assistenza e rallenta l’arrivo di competenze avanzate in contesti rurali o montani.
La presenza di standard nazionali come in UK, Scandinavia e Olanda, ha permesso lo sviluppo di protocolli identici su tutto il territorio nazionale, una formazione coerente e sistemi di audit. La frammentazione italiana genera variabilità di esiti. In Italia l’ECMO pre-ospedaliera è limitata a pochi hub e richiede trasporto con RCP meccanica mentre centri come Parigi e Vienna dispongono invece di team ECMO mobili h 24. L’approccio italiano alla gestione dell’arresto cardiaco traumatico resta spesso medical style mentre nazioni come UK e Norvegia prevedono toracostomie pre-ospedaliere e REBOA in équipe HEMS dedicate.
L’Italia ha iniziative d’eccellenza, ma manca un roll-out nazionale. L’adozione uniforme di queste risorse nei Paesi leader si traduce in vantaggio di sopravvivenza nei casi più complessi.
EuReCa-THREE ci ricorda che il tempo medio di risposta degli equipaggi è 12 minuti. Se un DAE viene applicato prima dell’arrivo dell’ambulanza, la probabilità di ROSC raddoppia. La differenza, spesso, la fa l’infrastruttura: quanti defibrillatori pubblici esistono? Sono mappati? Chi li può usare? I Paesi con un registro nazionale unico, come UK, Danimarca, Francia, Svezia e Paesi Bassi, collegato in tempo reale al dispatch presentano la più alta quota di DAE effettivamente “richiamabili” durante un arresto cardiaco. In Italia la frammentazione dei database regionali rallenta il dispatcher e rende molti DAE di fatto invisibili.
Dove la rete di volontari (citizen responder) è integrata come in Danimarca, Svezia e Paesi Bassi, il tempo tra chiamata e primo shock scende sotto i 6 minuti, con incremento relativo di sopravvivenza del 40-60 %. In Italia app come “DAE RespondER” in Emilia-Romagna o “DAE Marche” testimoniano un interesse crescente verso l’attivazione di cittadini formati tramite smartphone, ma restano iniziative regionali, non un ecosistema nazionale.
Avere una legge sull’obbligo scolastico alla formazione sul BLS non basta. La Danimarca dimostra che, senza fondi e formatori, meno della metà delle scuole rispetta l’obbligo. In Italia la formazione è ancora spesso considerata un business e i corsi di formazione vengono erogati a pagamento anche da parte dalle aziende ospedaliere. L’Italia ha posto le basi normative (legge 116/2021), ma la rete rimane disomogenea.
Studi di costo-efficacia indicano che una rete “6-minutes-response” (HartslagNu) produce un costo di 8.900 €/QALY. Il QALY (Quality-Adjusted Life Year) è un anno di vita “aggiustato per la qualità”: 1 QALY = un anno vissuto in piena salute; 0 QALY = morte.
In Italia, le linee guida di economia sanitaria utilizzano un intervallo informale di 25.000–40.000 €/QALY. 8.900€/QALY significa che, in media, ogni anno di vita di buona qualità guadagnato grazie alla rete costa al sistema meno di 9.000 €. Valori così bassi rendono l’investimento in reti di first-responder/AED uno degli interventi a miglior rapporto costo-beneficio nell’ambito dell’emergenza cardiovascolare.
L’analisi di EuReCa-THREE e il confronto con le esperienze dei Paesi più performanti delineano alcune azioni prioritarie per il sistema italiano:
1. uniformare la formazione: specializzazione obbligatoria (MEU o Anestesia) per i medici di emergenza territoriale e protocollo infermieristico nazionale, con audit annuale;
2. ridisegnare la rete dei mezzi con modelli GIS e introdurre motociclette sanitarie e droni-DAE nelle aree urbane più congestionate;
3. creare una piattaforma unica di first responder che integri il 112, la geolocalizzazione dei DAE e la notifica push ai cittadini formati;
4. sperimentare ECMO-team mobili in almeno tre macro-aree metropolitane ad alta densità di popolazione;
5. implementare protocolli avanzati per l’arresto traumatico (REBOA, toracotomia) nei servizi HEMS e nelle auto-mediche di fascia alta;
6. istituire un registro nazionale obbligatorio dell’arresto cardiaco, con feedback trimestrale alle centrali 118 e benchmark pubblico;
7. rendere gratuita e capillare la formazione BLSD nelle scuole secondarie e nei luoghi di lavoro, finanziata da fondi regionali dedicati alla prevenzione.
EuReCa-THREE ci ricorda, dati alla mano, che ogni minuto guadagnato prima dell’arrivo dell’ambulanza si traduce in vite salvate. L’Italia dispone di punte di eccellenza, ma la frammentazione organizzativa e formativa attenua l’efficacia complessiva del sistema. Investire in standardizzazione, tecnologia e audit continuo non è solo un obiettivo di modernizzazione, bensì un imperativo etico, significa offrire a ogni cittadino, ovunque si trovi, pari chance di sopravvivere a un arresto cardiaco.
Come comunità clinica e scientifica abbiamo il dovere di trasformare queste evidenze in proposte concrete da portare ai decisori ed è proprio in questa direzione che AIES può svolgere un ruolo di facilitatore culturale e tecnico.
Dr. Nicola Bortoli
Direttore Comitato Scientifico AIES
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